gigi borruso
gigi borruso
Attore, regista, autore
Scuro era scuro…” è questo l’incipit de Il suono della notte. Un suono che può essere lo scrosciare incessante della pioggia, o il boato tracciante dei proiettili, o più semplicemente quel rumore che bisogna respirare in silenzio e immaginare cos’è. Perché in città come Palermo, nulla è mai come appare.Il suono della notte è un incalzante viaggio che, prendendo vita dal furto della Natività di Caravaggio, scende senza riprendere fiato negli inferi della guerra di mafia che insanguinò Palermo al principio degli anni ’70, nelle trame eversive che in quegli anni attraversarono ambienti politici e militari, italiani e non. L’autore lo definisce “Un racconto fantastico sui troppi silenzi di cui è fatta la nostra storia”. E fantastico lo è davvero perché intreccia la Storia, quella che hanno raccontato le cronache dell’epoca, con la storia inventata, ma a bene legger assolutamente possibile, di un uomo e una donna, un commissario e un’impaurita ma tenace ragazza, vittima suo malgrado della sua e delle altre famiglie mafiose: Armando Cacioppo e Rosuccia Rosati. Una discesa agli inferi e una risalita verso la luce che fissa il suo inizio nel furto della Natività di Caravaggio. Tela mai ritrovata, tela forse distrutta, tela forse appesa sulla parete bandita di qualche trafficante del malaffare, tela forse sepolta e mangiata dai topi. L’emblema delle tante cose sottratte, prese in ostaggio, distrutte, a Palermo come altrove. Emblema della nostra storia stracciata, costellata di silenzi e omissioni.
Il suono della notte è un romanzo che, muovendosi sinuoso, grazie a uno stile intenso e una scrittura palpabile, intrigante e totalmente avvolgente, conduce per mano il lettore fra i ricordi vividi di un passato non troppo passato colmo di protagonisti non sempre di fantasia. Atmosfere noir per raccontare la Palermo della mafia e del presunto golpe Borghese e la Torino degli scioperi e del terrorismo rosso: i palcoscenici più importanti della vita e delle vicende di Rosuccia, Armando e degli altri coprotagonisti, celati dietro nomi di fantasia per ricucire anni dolenti e tormentati. Un romanzo da leggere senza soluzione di continuità perché, a qualche grande quesito della Storia, le risposte arrivano e arrivano inattese. Come ogni verità.
Torna in scena a Palermo “Luigi che sempre ti penza”
dal 5 al 7 ottobre 2017 al Teatro Biondo di Palermo
Nuovo allestimento del Teatro Ditirammu
prenotazioni su: www.teatroditirammu.it
Siamo tutti stranieri del posto dove nasciamo o dove arriviamo
Mi accade con una certa frequenza in campagna di incontrare alcuni di loro, contadini oggi settantenni o ottantenni che sono stati in Germania, in Belgio, in Francia… Raccontandomi delle loro storie mi accorgo che nei loro occhi si accende sempre una luce: per aver conosciuto un mondo diverso, fatto sì di fatica e di umiliazioni spesso, ma anche di scoperte, di sogni, di dignità riconquistata, in paesi dove i diritti del lavoro erano una realtà a confronto della condizione quasi feudale della propria terra di origine. Eppure di questa preziosa memoria, conquistata dall’immane fatica di più d’una generazione di emigranti, non sembra esservi traccia nel furioso e violento chiacchiericcio di paura e ottusità che la politica aizza contro gli odierni migranti.
Il “Luigi” dello spettacolo, chiede d’essere riconosciuto con il suo nome, nella sua dignità e nel suo sforzo di costruire una vita. E dinanzi al capotreno che dovrebbe riportarlo in Italia dice “No non sono un ‘Gastarbeiter’, sono Luigi! Che, non ti ricordi? Mi ho passato fiumi e fiumi della grande Germania. Mi ho caricato sacchi e sacchi. E li ho scotolati pure, che ci ho ancora il pruvulazzo nelle nasche! Che, non ti ricordi? Vi ho dato la mia manodopera, tutta ve l’ho data! E ora torno e mi compro la terra…” . E oggi come ieri, la lotta per la dignità dei migranti e del lavoro, richiede un immane sforzo. Di coscienza, di cultura, di immaginazione politica.
Cedo il passo alle parole di Gian Maria Tosatti, che nel 2008, recensendo lo spettacolo, scrisse: “Questo testo di Gigi Borruso non è il teatro di narrazione che racconta una storia in fondo sentita mille volte. La vicenda è solo presa a prestito, per farne un’analogia, perché ci possa essere una storia, una rotta da seguire, da spezzare con questo apparentemente insensato ripetere sempre il proprio nome, «Luigi sono, sono Luigi», rivolto ad una sorta di dio-capotreno, macchinista del tempo che corre senza fermarsi. «Luigi sono, sono Luigi», torna a ripetere con lo stesso piglio disperato di quelli che oggi, quarant’anni dopo il 1969, continuano a chiedersi cosa si sia rotto e perché si viva ancora in quella costante disumana insicurezza del proprio futuro, del proprio destino, con quella sensazione di vulnerabilità, di esposizione a tutti i venti, che non è poi diversa oggi da quella degli emigranti degli anni ’60. «Luigi sono» ripete Borruso con lo stesso accanimento infantile, dei bambini che vogliono farsi riconoscere, che dicono il loro nome cento volte quando si perdono in mezzo alla strada e vogliono essere riportati a casa. E lui, un uomo di circa quarant’anni, non aggiunge altro, ma sembra dire al dio-capotreno, dandogli del tu, «Sono Luigi. Oltre alla vita mi devi anche la felicità». (Gian Maria Tosatti “La Differenza, 30/5/2008).
Gigi Borruso
fantocci ed elementi di scena Elisabetta Giacone
consulenza musicale Antonio Guida
Luci e audio Vittorio Di Matteo
Postproduzione audio Roberto Agrestini
Musiche La Banda di Palermo, Lous Sclavis,Migliacci–Mattone